L’indagine della Fondazione studi consulenti del lavoro dal titolo ‘Italiani e lavoro nell’anno della transizione’, condotta in collaborazione con SWG, descrive un nuovo sentiment diffuso tra gli italiani e le evoluzioni in corso in ambito lavorativo. Dopo la pandemia, gli italiani hanno una gran voglia di cambiamento, che si riflette in primis sul lavoro. Più della metà dei lavoratori italiani sogna di cambiare lavoro perché insoddisfatta di quello attuale, o perché ricerca un’occupazione più compatibile con le esigenze di vita personale e più appagante dal punto di vista professionale ed economico. Già il 15% si è attivato per cercare un altro impiego.
Si tratta di un fenomeno che rompe con la tradizione di un mercato del lavoro da sempre caratterizzato da stabilità. Un fenomeno, oltretutto, trasversale, diffuso tra lavoratori di tutte le età e di tutte le categorie. Tra i fattori scatenanti, secondo l’indagine, l’insoddisfazione (38,7%) e la voglia di novità (35,4%), di gran lunga più determinanti della necessità dovuta alla scadenza del contratto (9,8%) o alla paura di perdere il lavoro (11,8%). I motivi dell’insoddisfazione? Salari bassi (31,9%) e scarse opportunità di carriera (40,9%). Non solo, la scarsa meritocrazia del sistema (33%) è un’altra grande criticità, avvertita con maggiore urgenza rispetto a quello della precarietà, soprattutto dai giovani. Ecco che il “posto fisso” non viene più anelato, come succedeva qualche anno fa. Le priorità sono ormai cambiate.
Lo smart working ha senz’altro giocato un ruolo decisivo in tal senso. Ad oggi, l’84,2% dei lavoratori “agili” acclama questo modello di lavoro, perché permette di conciliare meglio vita professionale e vita privata. Il 31,8% degli italiani non accetterebbe di tornare a lavorare in presenza: il 16,9% cambierebbe lavoro e il 9,3% potrebbe addirittura licenziarsi.
Questo nuovo modello, ormai, ha cambiato non solo il lavoro ma anche la cultura sottostante e la visione della vita professionale. Il 50,2% dei lavoratori dipendenti preferirebbe, infatti, essere valutato sui risultati piuttosto che sull’orario di lavoro. L’altra faccia della pandemia ha provocato anche una forte accelerazione tecnologica, imponendo anche i lavoratori più “di vecchio stampo” a fare i conti con le nuove modalità. Le opinioni a riguardo sono discordanti. Se il 61% degli intervistati afferma che la rivoluzione tecnologica ha cambiato il lavoro, una minoranza (13,9%) la boccia, perché ha reso il lavoro più complicato (14,6%) e disumano (11,1%), svilendo le relazioni interpersonali.